Vizi e difetti dell’italica mediocrità. Servilismo vigliaccheria corruzione. Cinecampionario di tipologie. Cioè Alberto Sordi
Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».
Mentre per il centenario della morte (15 giugno 1920) è annunciata una grande mostra a Roma, a cura di Vincenzo Mollica, Alessandro Nicosia, Gloria Satta (7 marzo – 29 giugno), l’Editore Cue Press pubblica un volume di Maurizio Porro, Alberto Sordi, in edizione riveduta e ampliata: un’occasione per riflettere su come gli storici del cinema e del teatro debbano accostarsi a un ‘fenomeno’ che ha caratterizzato persino la vita sociale di un popolo.
Compito degli studiosi, infatti, è quello di sezionare, separare, distinguere, individuare le fonti, chiarire le loro funzioni in rapporto agli eventi storici in cui ‘il fenomeno’ ha iniziato a farsi conoscere.
Maurizio Porro, oltre che cronista, è anche uno storico, non per nulla, Alberto Bentoglio, Direttore del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi in Milano, lo ha voluto come docente di Storia della Critica dello Spettacolo, alla Statale, uno storico che dispone di innumerevoli documenti nella sua ricca biblioteca, ma è stato ed è anche un testimone di quello che scrive.
Nel suo Alberto Sordi, prima di approfondire il grande attore cinematografico, ha volute ricercarne le ‘fonti’ teatrali, individuando, in esse, le invenzioni di quei ‘caratteri’, di quell’arte di arrangiarsi, tipici dei cittadini italiani. Sordi, come attore, nasce e Milano, iscrivendosi alla scuola del Filodrammatici, frequentata da Giorgio Strehler e Franco Parenti, dalla quale non viene accettato per il suo accento troppo romanesco. A Milano era andato per lavorare come assicuratore (stipulava polizze per la vita), egli, però, cercava ben altro, magari lavorare nella Rivista.
Porro ci racconta il primo incontro importante della sua vita professionale con l’impresario Angelo Muzio che gli propose di realizzare uno sketch comico in uno spettacolo di balletti, grazie al quale debuttò al Teatro Dal Verme. Fece presto a farsi notare, tanto da essere scritturato (1938-1939) dalla Compagnia Riccioli- Primavera, con cui cominciò a imparare il mestiere, iniziando a conoscere i meccanismi di ricezione del pubblico, quel pubblico a cui dedicherà tutta la sua vita d’attore e che sempre ringrazierà perché diceva di dovergli tutto.
Seguiranno gli anni dell’avanspettacolo, recitando nella nuova edizione di Za Bum nel 1943, con uno sketch in cui dimostrava come un pazzo potesse diventare dittatore. La prima grande occasione gli fu offerta da Garinei e Giovannini che, nel 1945, lo scritturarono per Soffia so. Intanto, vanno segnalati due successi particolari: la vittoria al concorso indetto dalla MGM per doppiare Oliver Hardy e la scrittura alla Radio con una trasmissione che si intitolava Vi parla Alberto Sordi. La radio, a quei tempi, sanciva il successo di un attore, oltre che la notorietà. Basterebbe ricordare le trasmissioni di Franco Parenti: Anacleto il gasista, di Tino Scotti: Buon giorno Buonasera, di Dario Fo: Poer nano che, grazie ai loro sketch esilaranti, poterono accedere al grande pubblico. Sarà ancora Milano a offrirgli una ulteriore opportunità, grazie a Remigio Paone che lo impose come partner di Wanda Osiris in: Gran Baraonda (1952), con la regia di Garinei e Giovannini. Sordi veniva da un fiasco clamoroso, dovuto allo Sceicco bianco (1951), di Federico Fellini, diventato, successivamente, un film cult.
La vera storia di attore cinematografico, con pieno successo, la deve a I vitelloni, sempre di Fellini, che gli fece vincere il Nastro D’Argento a Venezia. Fu l’inizio di una carriera che durerà fino al 1998.
A Sordi dobbiamo la trasformazione della maschera individuale a maschera sociale, avendo portato sullo schermo un campionario di vizi e difetti degli italiani, scegliendone tutte le tipologie: dal mediocre burocrate all’essere servile, anticipando Fantozzi, dal mammone allo scapolo, dal vedovo al borghese piccolo piccolo, dall’inetto all’imbroglione.
La maschera ‘Sordi’ non è quella ‘nuda’ di Pirandello che mette in gioco i flussi identitari, è la maschera del quotidiano che coinvolge l’uomo di potere e l’uomo della strada, è quella del vigliacco, del pavido, del corruttore e del corrotto, una maschera che si tinge di ironia, di sottile umorismo, comica e tragica contemporaneamente e che, in alcuni casi, attinge alla buffoneria.
Nel volume, Porro raccoglie una serie di giudizi, di Comencini, Lattuada, Loy, Risi, Morandini, Montesano, Scola, lo arricchisce con due sue lunghe interviste e con una iconografia ragionata.